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Pubblicato Domenica 26 Giugno 2005 da adalberto |
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L’attesa mareggiata dei primi di maggio finalmente è arrivata. Decido di andare a fare surf a Portonovo, lo spot più vicino a dove abito e il più affascinante di tutta la riviera.
Preparo la muta e la paraffina, metto la tavola in macchina e via per le curve che portano a valle. Do un’occhiata in giro. Il molo, il Fortino, la Capannina e mi dirigo con la macchina verso quest’ultimo lido. Il mare è uno spettacolo, almeno due metri d’onda. Pulite e taglienti sono le agitate acque del Conero e oggi che tira Scirocco le condizioni climatiche raggiungono la perfezione. In acqua c’è già un nutrito gruppo di ragazzi locali che cavalcano le prime onde del mattino. Tiro fuori la mia RT 6.5 ci passo sopra un po’ di paraffina e faccio un po’ di streching. Una volta pronto mi guardo intorno: la corrente, dove rompe l’onda, e dove posso entrare senza infastidire chi sta surfando. Mi butto veloce in acqua e cerco una zona morta dove le onde rompono dolcemente raggiungendo dopo un paio di bestemmie e qualche duck-dive la famigerata line-up. Saluto tutti e aspetto il mio turno. Mi volto per vedere se arriva qualcosa e ritornando con lo sguardo verso terra noto la bellezza del luogo in questo giorno di sole. Il pendio del monte termina a picco sul mare e illumina di una calda luce le verdi foglie degli alberi che la baia sembra accogliere a se come i peli bagnati di una folta vagina. Non so resistere a questo naturale invito e anche se l’onda che sopraggiunge alle mie spalle non sembra molto potente pagaglio lo stesso. Mi sforzo, remo e sbraccio, facendo parecchia fatica, d’altronde sono alle prime armi. Sento la tavola che con uno scarto in avanti ormai è entrata nella scia dell’onda e il resto sono automatismi. Saltello, piedi, bacino e trovato il giusto equilibrio alzo la testa, giro le spalle e comincio ad andare. Non riesco a fare grandi manovre ma il solo piacere di scivolare sulle acque per dieci quindici secondi mi fa ritornare una volta a riva alla simbolica linea di partenza. Qualcuno grida che lo Scirocco si sta alzando e vede in lontananza spruzzi di schiuma bianca. In questa zona le altezze massime mai raggiunte dalle onde sono sui tre metri, tre metri e mezzo al massimo. Ma la giornata di oggi è promettente e ci sono tutti i presupposti per un grande evento. Si sente, lo percepisco così come gli altri surfisti che guardano ansiosi verso l’orizzonte e in questo scrutare siamo tutti eguali. Quelle che in lontananza sono delle schiume crepate dal vento, nell’incedere verso riva si regolarizzano a formare delle discrete barre, prendendo una volta giunte nel reef forme di pareti d’acqua. I ragazzi più giovani spaventati tornano a riva con le prime onde di ripiego. Io e qualche altro temerario rimaniamo elettrizzati ad aspettare l’arrivo della serie. Arriva uno di questi bolidi e F come suo solito rompe il ghiaccio iniziando a surfare la prima di esse. La gestisce egregiamente con il suo long-board ed un elegante stile, prova qualche passo sulla tavola e tutto riesce alla perfezione. Finisco di vedere quel capolavoro quando mi accorgo di essere solo in mare, anche L se n’era andato su un altro cavallone. La linea che traccia l’orizzonte assume un andamento tumultuoso e ricalca incutendomi timore la rabbia delle onde. Mi ricordo del fondale roccioso, dominato da ricci, cozze e scogli appuntiti e per un attimo ho delle cattive vibrazioni al cuore. Mi faccio coraggio e il mio inconscio bizzarro come sempre nei momenti peggiori tira fuori un motivetto degli Shadows “Zambesi”. Inizio a fischiettarlo e poi a cantarlo con una voce stridula che tanto è tutto un assolo di musica surf’n’roll. La parete arriva mi giro e spero che tutto vada per il meglio. Non pagaglio, bastan due bracciate e sono a cavallo. Amazing direbbero gli inglesi, allucinante noialtri italiani. Ora vedo la baia da una prestigiosa postazione. Sono Dio penso. O qualcosa di molto simile. All’improvviso percepisco che la perfezione dell’onda sta creando una specie di tubo alle mie spalle. Non faccio nulla cerco solo di assecondare quest’evento della natura fino a quando non mi ci ritrovo dentro. Subito sono colto da un senso di panico, poi mi rassereno e scivolo via leggero in perfetta sincronia con la camera verde che mi sovrasta. Ascolto senza emettere suono la voce del tubo che come un’enorme quantità di gocce di pioggia, fruscia e sembra chiamarmi a se. Sono già fuori però e il tubo si rompe poco dopo. Mi sento rinato, nuovo una persona migliore. E’ come se la natura mi avesse messo a disposizione uno dei suoi doni migliori ed io ho il privilegio di goderne cavalcandolo. Senza desideri estremi, senza passione per i record o per la fisico-follia, ma semplicemente assecondando questi magnifici omaggi chiamate onde. Arrivo a terra e sono accolto dagli altri surfisti che mi corrono incontro e mi domandano che sensazioni ho provato. Potevate rimanere invece di scappare a terra penso. Mai avevo vissuto una simile giornata nella baia di Portonovo. Mi calmo e mi metto in disparte. Indosso la felpa che ho freddo e rimango da solo a fissare il mare. Passano due ore e ancora sono lì. Ho come un senso di gratitudine e non so come esprimerlo. Poi mi alzo mi volto verso la baia, riguardo il mare ed è come se ci fossimo capiti.
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